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Studi legali: la rivoluzione sostenibile

Quando alla fine del 2007 cominciai ad interessarmi di comunicazione degli studi professionali, una delle prime cose che cercai di analizzare fu proprio l’approccio degli studi legali più strutturati al tema della responsabilità sociale di impresa, quella che oggi si identifica con i criteri ESG. A quei tempi, l’idea di responsabilità sociale contemplata da uno studio legale coincideva perlopiù con attività di pro-bono e di charity.

Iniziava però a farsi strada in alcune grandi law firm – poche al dire il vero- una certa attenzione all’impatto ambientale e alle questioni di genere: è il caso, ad esempio, di Freshfields Bruckhaus Deringer che a partire dal 2006 ha creato per i suoi stakeholder un report annuale come dimostrazione dell’impegno profuso nell’ambito del diversity management, del contrasto al cambiamento climatico e della questione ambientale.

Nella seconda metà degli anni 2000 le grandi imprese cominciavano a prendere seriamente in considerazione l’adozione di politiche di corporate social responsability, con la consapevolezza che il consumatore, non più target ma vero e proprio partner dell’organizzazione, non avrebbe accettato un approccio di facciata. Il risultato fu che anche le imprese cominciarono a scegliere i loro fornitori, studi legali compresi, sulla base degli stessi principi.

Una governance ESG anche per gli studi legali

Guardando al 2022, la sostenibilità è al centro non solo della comunicazione ma dell’agire stesso delle organizzazioni, almeno di quelle più strutturate e sotto la lente di ingrandimento di investitori e consumatori. L’adozione di politiche organizzative ESG oriented negli studi professionali può essere dedotta prevalentemente dalla adesione ad un codice etico e dalla rendicontazione attraverso i report di sostenibilità. Se escludiamo le grandi law firm internazionali che hanno negli anni costruito importanti progetti di sostenibilità a livello globale, con risultati per lo più simili a quelli delle corporation, alcuni studi legali italiani hanno cercato di dare forma alla loro sensibilità prevalentemente sui temi dell’inclusione e dell’ambiente. Tuttavia, se si approfondisce il reale livello di engagement di questi studi nell’adozione di vere e proprie politiche dedicate, è indubbio che la strada da percorrere sia ancora lunga.

Potremmo definire questi come primi tentativi, sicuramente encomiabili, dettati però più dalla necessità comunicativa di cavalcare l’onda per differenziarsi rispetto alla concorrenza che da una scelta consapevole di governare lo studio secondo principi ESG che dovrebbero portare a cambiamenti radicali, se non vere e proprie rivoluzioni, nel modo di approcciare il business e il lavoro.

Del resto, anche nelle aziende il tema della responsabilità sociale e della sostenibilità è stato per molti anni appannaggio dei soli responsabili della comunicazione aziendale, quasi fosse una mera operazione di maquillage nella quale inserire elementi spesso ricostruiti ad hoc, in funzione dell’approvazione dei pubblici.

Almeno a livello delle grandi organizzazioni, oggi, fortunatamente, la sostenibilità è universalmente riconosciuta come direttrice della governance. Se infatti è naturale che la comunicazione sia riconosciuta come una funzione che pervade tutta l’organizzazione e collabora a definirne le strategie, è altrettanto vero che delegare la sostenibilità alla comunicazione significa non riconoscere la sostenibilità come elemento fondante dell’impresa.

Lo stesso principio è assolutamente valido per gli studi professionali.

Dire che lo studio è “paperless” perché ha digitalizzato le proprie pratiche (in tempi di valutazione sull’impatto ambientale dell’invio di una e-mail) o che utilizza sistemi di illuminazione a basso consumo (ma davvero?) o ancora che conta su una forza lavoro prevalentemente femminile (salvo poi avere tra i soci equity una o due donne e decine di uomini), può essere addirittura controproducente. Eppure, è questo lo standard di coinvolgimento ad oggi di molti studi professionali italiani che decidono di rendicontare la loro sostenibilità.

Uno studio professionale che voglia davvero differenziarsi per la sua governance guidata da criteri ESG deve prima di tutto pensare ai suoi stakeholder, ascoltarli e valutare in che modo l’agire dello Studio potrà avere un impatto positivo e di crescita sostenibile. Dovrà adottare tutte le misure per raggiungere quegli obiettivi, monitorarne i progressi, rendicontare ai propri pubblici influenti tutti gli sforzi mossi in quella direzione. Non è necessario dichiararsi nei fatti già compliant ai propri principi dall’inizio, sarebbe poco credibile; meglio delineare un percorso di medio termine, raccontarlo, coinvolgere i pubblici nella propria “visione”.

Ai nostri studi clienti diciamo sempre che se non si ha una strategia di sostenibilità, non è possibile raccontare il proprio impegno per la sostenibilità.

L’adozione di una governance orientata alla sostenibilità è soprattutto una grande opportunità di evoluzione e modernizzazione per gli studi professionali, opportunità che va introdotta con grande coraggio perché porta lontano dalla “comfort zone” di un certo modo di agire e di intendere il settore legale. Una grande rivoluzione non solo culturale ma economica è in atto in questo momento e adeguarsi significa raccogliere tutte le energie per fare un grande balzo in avanti (a vantaggio di tutti).

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